Una versione pescasserolese ottocentesca della Parabola del Figliol Prodigo
|Con il presente articolo, si intende portare all’attenzione dei lettori l’esistenza di una versione pescasserolese della Parabola del Figliol Prodigo risalente probabilmente al 1835 circa. Questa traduzione della nota parabola evangelica rappresenta, allo stato attuale delle cose, la testimonianza scritta più antica del dialetto di Pescasseroli e pertanto costituisce un prezioso documento linguistico in grado di sorprendere i pescasserolesi del XXI secolo su come parlavano i loro trisavoli quasi 200 anni fa.
Ma procediamo con ordine. Chi si prese la briga, nella metà del XIX secolo, di tradurre in pescasserolese la Parabola del Figliol Prodigo? Quale abitante di Pescasseroli fece questa traduzione non è dato sapere in quanto la versione non risulta firmata. Invece, si può datare alla metà dell’Ottocento la traduzione in questione poiché fa parte delle 8 versioni abruzzesi pervenute al noto linguista veneto Bernardino Biondelli (1804-1886), il quale raccolse numerose versioni valdostane, monferrino-alessandrine, lombarde, friulane, venete, trentine, ladine, sarde, corse, abruzzesi, pugliesi, ecc., della Parabola del Figliol Prodigo.
Molte di queste versioni rimasero inedite per più di 50 anni in quanto furono pubblicate dallo svizzero Carlo Salvioni (1858-1920), un altro grande pioniere della dialettologia italiana, nei primi anni del Novecento. Difatti, le versioni abruzzesi della Parabola provenienti da L’Aquila, da Pescasseroli, da Scanno, da Chieti, da Lanciano, da Vasto e da Teramo, vennero pubblicate nel 1912 da Salvioni (Versioni abruzzesi della Parabola del Figliuol Prodigo tratte dalle carte Biondelli, Rivista Abruzzese, Teramo, 1912).
Fatta questa doverosa premessa per spiegare la genesi della traduzione in pescasserolese della Parabola e prima di compiere una breve analisi linguistica, si riporta di seguito il testo della versione così come è stato pubblicato da Salvioni:
©2024 Versioni abruzzesi della Parabola del Figliuol Prodigo © 2024 (http://nap.wikisource.org)
Figura 1 – Prima parte del testo.
©2024 Versioni abruzzesi della Parabola del Figliuol Prodigo © 2024 (http://nap.wikisource.org)
Figura 2 – Seconda parte del testo.
©2024 Versioni abruzzesi della Parabola del Figliuol Prodigo © 2024 (http://nap.wikisource.org)
Figura 3 – Terza parte del testo.
In seguito alla lettura del testo, chi conosce il dialetto di Pescasseroli, oltre ad alcuni italianismi utilizzati dal traduttore quali lintani «lontani», anziché la forma più autenticamente dialettale da lunghë (fig. 1), acció vardassi «affinché guardasse» (fig. 1) e figliuol «figliolo» (fig. 1), può ritrovarvi una parlata oggi percepita come arcaica, ricca di dittonghi successivamente scomparsi in grado di ricordare il modo di parlare delle donne anziane di 30 – 40 anni fa.
Effettivamente, in questa traduzione risulta ben attestato l’articolo determinativo maschile së «il», presente anche all’interno dell’aggettivo e del pronome dimostrativo quɨsi «quello» (fig. 2).
Per quanto riguarda i dittonghi, risultano molto più diffusi, rispetto al pescasserolese moderno, gli sviluppi in ai̯ (avajva «aveva»; potajva avaire «poteva avere» (fig. 1); paidi «piedi»; staiva «stava»; magnaraimo «mangeremo»; bivarraimo «beveremo»; ci sotilliraimo «ci satolleremo» (fig. 2) e in aṷ (patrauno «padrone» (fig. 1); ragiaun «ragione» (fig. 2 e fig. 3).
Ad ai̯ e ad aṷ, ancora esistenti, si possono aggiungere due ulteriori casi di dittongazione oggi scomparsi: ju da una originaria u (finiuti «finiti»; accadjuta «accaduta»; siuva tiniuta «sua tenuta»; ravvidiuto «ravveduto»; garziuni «garzoni» (fig. 1); inteneriuto «intenerito»; commoviuto «commosso»; viniut «venuto», sirvitiuri «servitori» (fig. 2); serviut «servito»; riviniuto «rivenuto» (fig. 3) e ṷi da una originaria i (cittadůin «cittadino»; rimpůire «riempire» (fig. 1).
Nel pescasserolese della Parabola, contrariamente a quanto avviene nel dialetto odierno, la a e la o sembrano essere vocali turbate, ma data la mancanza di una chiara legenda è possibile soltanto teorizzare quale suono chi trascrisse la versione volesse rappresentare. Così, per parole come peotr «padre», galat’Eom «galantuomo», feom «fame», cheosa «casa», peone «pane», mi meori «mi muoio», meoni «mani» e cheose «cose», l’anonimo traduttore raccomanda:
“Nota 1. Le lettere tutte le vocali accoppiate non formano dittonghi, e trittonghi, onde si abbiano a leggere diversamente dalla scrittura: perciò si averan (?) a proferirle tutte, come porta (?) la versione”.
È forse possibile ipotizzare delle pronunce che al giorno d’oggi vengono associate prevalentemente ad alcune parlate pugliesi?
L’ultima osservazione linguistica di questa versione pescasserolese della Parabola del Figliol Prodigo riguarda la coniugazione in -zë dei verbi al passato remoto (dicez «disse»; jezi «andò»; principiez «principiò»; si mitez «si mise»), la quale, appare del tutto scomparsa nel dialetto parlato al giorno d’oggi. Al riguardo, l’anonimo traduttore registra jez e veiz come “termini antichissimi” e ciò fa presupporre che le voci verbali in questione fossero già avvertite come desuete alla metà del XIX secolo. In Abruzzo, tali forme di passato remoto sono invece ancora in uso nei dialetti del Teramano.
Giunti al termine della presente disamina della “veterana loquela” pescasserolese nella quale fu tradotta la Parabola del Figliol Prodigo, si può ribadire l’importanza di una attestazione letteraria del genere. Difatti, questa versione ottocentesca della Parabola costituisce la più antica testimonianza del dialetto di Pescasseroli e pertanto si auspica di aver contribuito alla scoperta di un documento unico, utile a tutti coloro che sono interessati ad approfondire la conoscenza delle proprie radici linguistiche.