Témbë i vèrra: la Seconda guerra mondiale in Alta Val di Sangro
In Italia, da ormai più di settanta anni, l’anniversario della fine dell’ultimo conflitto mondiale viene celebrato il 25 aprile di ogni anno. Difatti, il 25 aprile del 1945 le truppe di occupazione tedesca lasciarono Milano incalzate sia dall’esercito alleato che dalle formazioni partigiane discese dai monti proprio per attuare l’offensiva finale.
In Italia, come nel resto del mondo, il secondo conflitto mondiale non fu vissuto ovunque allo stesso modo. La guerra si manifestò diversamente a seconda dell’area geografica nella quale ci si trovava, della tipologia di centro abitato nella quale si viveva nonché dello schieramento politico al quale si apparteneva. Per quanto riguarda i paesi dell’Alto Sangro, il periodo bellico più difficile fu sicuramente quello tra l’ottobre del 1943 ed il giugno del 1944. Durante questi 8 mesi l’Alto Sangro fu attraversato dal fronte di guerra dato che l’esercito tedesco e quello anglo-americano si fronteggiarono lungo la celebre linea Gustav che tagliava in due la penisola italiana: il Sud si trovava sotto l’occupazione dell’esercito alleato (anglo-americani), mentre il Centro ed il Nord erano ancora controllati dall’esercito tedesco e dalla milizia fascista della Repubblica Sociale Italiana.
La linea Gustav univa il versante tirrenico a quello adriatico attraversando il Lazio (Cassino), il Molise (Isernia e Venafro) e l’Abruzzo (Castel di Sangro, Roccaraso, Media e Bassa Val di Sangro e Ortona). Si può così comprendere come una tale vicinanza alla linea del fronte (soli 20-30 km circa) abbia potuto impattare sulla quotidianità della popolazione civile dell’Alto Sangro. Effettivamente, le comunità alto sangrine dovettero sopportare non solo la presenza delle truppe tedesche di occupazione ma anche gli ordini di sfollamento impartiti da queste ultime (Barrea, Villetta Barrea e Civitella Alfedena) e diverse incursioni dell’aviazione anglo-americana (Opi e Pescasseroli).
Proprio degli eventi appena ricordati il presente articolo intende rinnovare la memoria.
fonte Wikipedia, Linea Gustav, (http://it.wikipedia.org/)
Figura 1 – Mappa con le linee fortificate approntate dall’esercito tedesco nel Centro-Sud Italia per ostacolare l’avanzata anglo-americana proveniente dal Sud della penisola (la linea Gustav è evidenziata in rosso).
Nell’ottobre del 1943, in seguito all’armistizio tra il Regno d’Italia e l’esercito anglo-americano dell’8 settembre dello stesso anno, le truppe della Wehrmacht (l’esercito tedesco) occuparono anche l’area alto sangrina dislocando alcuni contingenti nei paesi e presidiando i principali valichi di accesso alla zona (Forca di Barrea, Passo Godi e Forca d’Acero). Il 27 ottobre del 1943 la popolazione di Barrea fu la prima a ricevere l’ordine di sfollamento dalle autorità militari tedesche[1] che nel frattempo a Pescasseroli avevano stabilito la sede del proprio comando tra il palazzo del Comune, in piazza Sant’Antonio, e la villa Mon Repos, in via Santa Lucia.[2] Pescasseroli costituiva un centro strategico per l’esercito tedesco acquartierato in Alta Val di Sangro poiché presso l’edificio della Scuola Elementare (l’odierno Istituto “Benedetto Croce”) venne installato l’ospedale militare segnalato da una grande croce rossa sul tetto.[3]
©2019 Google Maps © 2019 (http://maps.google.it)
Figura 2 – L’edificio dell’odierno Istituto “Benedetto Croce” come appare oggi.
©2019 Google Maps © 2019 (http://maps.google.it)
Figura 3 – La villa Mon Repos al giorno d’oggi.
Ma come fu l’occupazione tedesca dei paesi dell’Alto Sangro?
Fortunatamente, nei paesi di Pescasseroli, Opi, Villetta Barrea, Civitella Alfedena e Barrea i militari tedeschi non compirono atti di violenza paragonabili a quelli perpetrati dai loro commilitoni a Pietransieri (frazione di Roccaraso) tra il 12 e il 21 novembre del 1943 durante i quali vennero trucidate 125 persone (tra cui 37 bambini con meno di 11 anni).[4]
Ciò non significa che la presenza dei soldati tedeschi in Alta Val di Sangro fu sempre pacifica. Ad esempio, nel territorio comunale di Pescasseroli, in località Campomizzo, i militari tedeschi giustiziarono, mediante esecuzione sommaria, Annino D’Addezio, colpevole, secondo gli esecutori dell’uccisione, di tenere nascosti i propri animali nei boschi circostanti.[5]
Altri morti alto sangrini per mano tedesca ci furono a causa della repressione antipartigiana. Tra questi, il più noto è sicuramente il barreano Aldo Di Loreto (1910-1943), capitano medico dell’aeronautica, arrestato dalle forze tedesche il 25 ottobre del 1943 e fucilato a Villetta Barrea, in località la Pëngèra (nell’area dell’odierna zona artigianale), il 12 novembre del 1943. Aldo Di Loreto fu catturato e giustiziato poiché, dopo l’armistizio dell’8 settembre ed il conseguente sbandamento dell’esercito italiano, era tornato a Barrea dove aveva organizzato con altri giovani della zona una banda dedita sia all’assistenza ai prigionieri alleati nell’attraversamento delle linee nemiche che al sabotaggio dei collegamenti telefonici tra batterie antiaeree tedesche.[6]
Aldo Di Loreto e Annino D’Addezio non furono i soli alto sangrini ad essere giustiziati dagli occupanti tedeschi: il 20 novembre del 1943, nei pressi di Villetta Barrea, venne fucilato Carmelo Iannucci, accusato di aiutare i prigionieri alleati ad attraversare le linee tedesche.[7]
Da questi ultimi due episodi appena ricordati si evince come anche in Alta Val di Sangro ci sia stato un movimento di lotta partigiana. Effettivamente, oltre alla banda di Aldo Di Loreto[8], era attiva anche la formazione del capitano Franco Liguori, composta da una ventina di elementi, operativa in Alta Val Fondillo durante l’inverno del 1943.[9]
Fotografia di Davide Boccia
Figura 4 -Il monumento commemorativo dedicato ad Aldo Di Loreto e alle altre vittime barreane della Seconda guerra mondiale.
La maggior parte della popolazione civile alto sangrina restò comunque estranea al movimento di Resistenza dato che si trovava già impegnata nella lotta per la sopravvivenza quotidiana, resa ancor più precaria dai prelievi forzosi di animali domestici effettuati dai soldati tedeschi. Oltre a ciò, nei mesi invernali, le autorità militari tedesche imposero agli uomini dei paesi alto sangrini diverse ore di lavoro coatto per liberare le strade dalla neve.
Tra la popolazione alto sangrina il più alto numero di morti non ci fu a causa delle violenze operate dalle truppe di occupazione tedesche bensì fu opera delle incursioni aeree dell’aviazione anglo-americana.[10] Il primo bombardamento di cui si ha notizia interessò Pescasseroli il primo novembre del 1943. Questo attacco aereo non provocò alcuna vittima, né tantomeno comportò numerosi danni agli edifici dato che vennero sganciate solamente due schegge delle quali una cadde sul fianco della montagna, mentre l’altra colpì il tetto della chiesa parrocchiale.[11] Un esito drammatico ebbe, invece, il mitragliamento, sempre ad opera di un aereo anglo-americano, che costò la vita, in località Coppo della Polinella, al pescasserolese Carmelo D’Addezio, intento a trasportare del grano con il suo carro. Probabilmente, il carro di Carmelo D’Addezio fu mitragliato poiché sospettato di trasportare munizioni per il nemico.[12]
Quelle di Pescasseroli non furono le sole aggressioni aeree che il territorio dell’Alto Sangro dovette subire. Difatti, il 19 novembre del 1943 Opi fu bombardato due volte in quanto ritenuto dall’aviazione anglo-americana una potenziale roccaforte per le truppe tedesche.[13] Se la prima incursione aerea non inferse alcun danno, la seconda provocò, in località lë Macèrië (odierna Piazza dei Caduti,) la morte di ben 49 persone di cui 11 opiani e 38 sfollati provenienti da Castel di Sangro, Aversa (CE) e Santa Maria Capua Vetere (CE).[14] Al bombardamento del 19 novembre del 1943 seguì, alcuni mesi dopo, il mitragliamento del 6 aprile del 1944 durante il quale perse la vita Iole Petrarca, rifugiatasi ad Opi da Castel di Sangro.[15]
Inoltre, a Opi alcuni dei più anziani ricordano ancora l’incursione aerea durante la quale la batteria antiaerea tedesca, posizionata nell’area dei Colli Alti (Pescasseroli), riuscì ad abbattere un velivolo anglo-americano che andò a schiantarsi nell’area delle Casette di Opi, in località Prato Francone.
Fotografia di Davide Boccia
Figura 5 – Il monumento commemorativo dedicato ai caduti opiani delle guerre del XX secolo. La stele in alto, invece, ricorda i nomi dei profughi di Castel di Sangro morti a Opi durante il bombardamento del 19 novembre del 1943.
Ma se la comunità opiana subì tre attacchi aerei riuscì almeno ad evitare lo sfollamento ordinato dalle autorità militari tedesche che non volevano la presenza di civili nelle zone immediatamente limitrofe alla linea del fronte. Il merito di tale risultato va sicuramente a Don Alessandro Ursitti, parroco di Opi dal 1902 al 1960.
Non furono altrettanto “fortunati” gli abitanti di Villetta Barrea, obbligati ad abbandonare le proprie case il giorno della Vigilia di Natale del 1943 in seguito all’ordine di sfollamento emesso dalle autorità militari tedesche.[16] Così, i villettesi sfollati si rifugiarono nei paesi dell’area del Fucino o nella cittadina di Passignano sul Trasimeno (PG).[17]
©2019 Il Corriere dell’Umbria © 2019 (http://corrieredellumbria.corr.it)
Figura 6 – La delegazione di Villetta Barrea in visita a Passignano sul Trasimeno il 16 maggio del 2019 in occasione dell’anniversario del bombardamento del 16 maggio del 1944 durante il quale, oltre a 44 passignanesi, persero la vita due cittadini villettesi.
La bufera della guerra lasciò l’Alta Val di Sangro nei primi giorni del giugno del 1944, dopo che gli Alleati riuscirono a sfondare la linea Gustav costringendo in tale modo l’esercito tedesco a ritirarsi più a Nord e ad attestarsi sulla linea Hitler.
Nemmeno la fase di ritirata delle truppe tedesche fu esente da ripercussioni sulle comunità alto sangrine dato che i genieri tedeschi, per ostacolare l’avanzata degli anglo-americani, fecero saltare in aria il ponte romano di Barrea, il quale permetteva da secoli l’attraversamento della Foce,[18] e il ponte Santa Venere di Pescasseroli[19], via di accesso al paese per chi proviene da Nord.
©2019 vallisregia © 2019 (http:// vallisregia.it)
Figura 7 – Il ponte romano di Barrea prima della sua distruzione ad opera dell’esercito tedesco in ritirata.
©2019 Archivio PNALM © 2019 (http:// turismopescasseroli.it)
Figura 8 – Il ponte Santa Venere prima della Seconda guerra mondiale.
Dopo la ritirata dell’esercito tedesco, il processo di ripresa socio-economica delle comunità alto sangrine fu molto difficile. Difatti, se i campi furono abbandonati per l’impossibilità di seguire il normale calendario agricolo[20], l’industria armentizia, già in crisi prima degli eventi bellici, era quasi del tutto annientata dalle requisizioni compiute dall’esercito tedesco in ritirata. Al riguardo, Gianluca Tarquinio ricorda come a Pescasseroli, nell’estate del 1945, il numero degli ovini fosse di soli 2.000 capi rispetto ai 19.000 presenti prima della guerra.[21]
La guerra, però, continuò a mietere vittime innocenti anche dopo la sua fine. Effettivamente, anche in Alto Sangro tra il 1943 ed il 1950 ci furono alcuni incidenti mortali a causa delle numerose mine posizionate dall’esercito tedesco in ritirata lungo le strade al fine di rallentare l’avanzata anglo-americana.
A Pescasseroli gli incidenti mortali causati dal contatto con mine inesplose coinvolsero soprattutto i bambini per via della istintiva inclinazione di questi ultimi a giocare incautamente con residuati bellici. Morì in questo modo Michele Macro a 12 anni nel 1943, sfortunatamente seguito il 7 aprile del 1950 da Nunzio e Giacinto Laudazi, rispettivamente di 9 e 7 anni, e i fratellini Giannetto e Franca Di Nella di 7 e 9 anni.[22]
A Opi la medesima sorte toccò negli stessi anni al giovane Giuseppe Tatti, esploso in aria nei pressi del camposanto.
Invece, a Villetta Barrea le mine tedesche uccisero due uomini adulti: i fratelli Arturo e Mario Virgilio. I due fratelli, ex militari, si incaricarono di sminare il centro di Villetta Barrea e le campagne circostanti nell’estate del 1944.[23] Il 1° luglio del 1944, però, Arturo e Mario Virgilio vennero uccisi dallo scoppio ritardato di alcune mine alle quale si erano avvicinati per verificarne i motivi della mancata deflagrazione.[24]
(immagine tratta da Cimini 2010)
Figura 9 – Processione a Opi, in via San Giovanni, nell’immediato dopo guerra (si possono osservare i danni prodotti dal bombardamento del 19 novembre del 1943).
Il presente articolo ha cercato di ripercorre gli eventi principali di quei drammatici mesi del 1943 e del 1944 nella consapevolezza dell’impossibilità di poter riportare tutti gli eventi accaduti il cui ricordo invece è ancora serbato, anche se sempre più debolmente, nella memoria di molte famiglie alto sangrine. Tra queste memorie familiari ci sono sicuramente quelle legate all’esperienze degli alto sangrini che, arruolati nel regio esercito italiano, combatterono tra il 1940 ed il 1943 sui diversi fronti di guerra: dal Corno d’Africa ai Balcani, dalle Alpi nord-occidentali alla Russia.
Per concludere, chi scrive intende terminare questo articolo esprimendo la speranza che i fatti appena descritti non possano mai più ripetersi in modo che le generazioni attuali, così come quelle future, non debbano provare le deprivazioni, le umiliazioni ed i lutti che i loro genitori, nonni o bisnonni provarono in prima persona.
Qualche lettura per saperne di più:
Cimini Nicola Vincenzo, Genesi, Vita e Storia delle Terre dell’Orso. Con uno sguardo alla terra di Opi, Opi 2010.
D’Andrea Uberto, Villetta Barrea dal 1806 al 1984, Casamari 1991, Tipografia Abbazia di Casamari.
Di Marino Andrea, Notizie, epigrafi ed emergenze storiche della Terra di Opi e dintorni, Salerno 2014, Cronache italiane.
Marchionna Mario (a cura di), Vallis Regia. Storia e cultura di un territorio, Barrea 2016, Associazione Proloco Barrea.
Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid.
[1] A Barrea, durante il periodo di occupazione tedesca, scoppiò un incendio all’interno della chiesa parrocchiale di San Tommaso Apostolo che, oltre a distruggere l’organo e il coro settecenteschi, causò la perdita dell’intero archivio parrocchiale (Marchionna Mario (a cura di), Vallis Regia. Storia e cultura di un territorio, Barrea 2016, Associazione Proloco Barrea, p. 34).
[2] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p.162.
[3] Per questa informazione si ringrazia Mario Grassi.
[4] Per maggiori informazioni inerenti l’eccidio di Pietransieri è possibile consultare la relativa scheda del sito internet www.straginazifasciste.it.
[5] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p.164.
[6] www.straginazifasciste.it, Aldo Di Loreto.
[7] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p.166.
[8] Questa formazione partigiana, composta da una sessantina di elementi, era comandata anche da Evaristo Di Julio. La banda sostenne almeno due scontri a fuoco con i tedeschi: uno presso Lago Vivo (Barrea) e l’altro in Valle S. Ianni (Civitella Alfedena-Villetta Barrea) (Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, pp. 165-166).
[9] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 166.
[10] A Opi anche la milizia fascista fu autrice dell’assassinio di un civile: il 30 maggio del 1943 Giovanni Cimini, detto Crisostomo, fu ucciso nell’area delle Casette di Opi, all’imbocco di Via degli Spineti (in località l’Avëtatòra di Vëggëlandë), da un capo-manipolo che, intimandogli di consegnargli le scarpe, lo riteneva un renitente alla leva (Cimini Nicola Vincenzo, Genesi, Vita e Storia delle Terre dell’Orso. Con uno sguardo alla terra di Opi, Opi 2010, p. 171).
[11] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 162.
[12] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 163.
[13] In realtà, i militari tedeschi che si trovavano a Opi erano pochi dato che la maggior parte di questi ultimi era accampata a Val Fondillo, presso la Segheria (oggi Museo della Foresta e dell’Uomo), e lungo strada per Forca d’Acero (Cimini Nicola Vincenzo, Genesi, Vita e Storia delle Terre dell’Orso. Con uno sguardo alla terra di Opi, Opi 2010, pp. 170-171).
[14] Durante questo bombardamento gran parte della popolazione di Opi trovò rifugio all’interno delle grotte naturali situate ai piedi del versante occidentale di Monte Marsicano.
[15] Di Marino Andrea, Notizie, epigrafi ed emergenze storiche della Terra di Opi e dintorni, Salerno 2014, Cronache italiane, pp. 211-212, 218.
[16] D’Andrea Uberto, Villetta Barrea dal 1806 al 1984, Casamari 1991, Tipografia di Casamari, p. 32.
[17] Il legame che nacque in quei difficili momenti del 1943 tra la comunità villettese e quella passignanese viene celebrato ancora oggi dal gemellaggio fra i due comuni che prevede scambi di visite annuali.
[18] Marchionna Mario (a cura di), Vallis Regia. Storia e cultura di un territorio, Barrea 2016, Associazione Proloco Barrea, pp. 34-35.
[19] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 166 n. 404.
[20] Ad Opi, negli anni dell’immediato dopoguerra, si tornò a praticare la trita (trebbiatura con animali) poiché in zona non erano più disponibili trebbiatrici.
[21] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 164.
[22] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 167.
[23] Nell’estate del 1944 i villettesi sfollati poterono tornare, dopo 6 mesi di assenza, alle loro case. Le trovarono in condizioni miserevoli dato che le truppe tedesche avevano utilizzato le abitazioni che si affacciano su via Benedetto Virgilio come stalle per i cavalli e per i muli. Durante i 6 mesi di occupazione tedesca tutto dalle abitazioni era stato portato via. Oltre agli infissi e a quel poco di mobilio che i proprietari non erano riusciti a portare con loro, vennero asportate addirittura le coperture dei tetti.
[24] Per questa informazione si ringrazia Romano Di Clemente.
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