Pescasseroli a rischio desertificazione

Pescasseroli sembra un paese disperato, quello che neppure una cartolina riscatta. Adatto a chi si rassegna, a chi non ha l’ambizione di andare da nessuna parte e si accontenta. L’aspro monte da cui ci si lancia per volare, la cuccia dove si torna solo per delusione del là fuori. Non è adatto a chi vuole fare la rivoluzione, a chi fa del cambiamento il proprio sacramento. Non è adatto a chi intristisce nelle sere invernali, a chi ha bisogno di musica invece che del crepitio del fuoco. Qui rimane solo chi è affezionato alla stufa a legna, che considera anche il pellet un’offesa alla tradizione. Perché restare distanti, anche dalle evoluzioni, serve a preservarsi. Perché noi siamo quelli che tengono fede all’incontaminato, come la nostra natura incontaminata. Contiamo allora quanti sono gli adatti che sono rimasti. Sottraiamo i non adatti che la rivoluzione vogliono farla in un’altra parte, in un’altra pazzia. Qual è il resto? E forse il “resto” ha meno valore? È lo scarto? Mentre quelli che emigrano sono la “differenza”? Sono i tenaci o sono gli illusi? Sono quelli che un “paesologo”, parola che anche il computer mi sottolinea in rosso, troppo nuova, nuova fino al discredito, direbbe che rimane una “comunità provvisoria”. Di pochi membri e tanta intimità. Ai limiti della chiacchiera, dell’invadenza, del pettegolezzo, dell’impiccio. È l’intimità che avvolge, include. Di quelli che si sentono soli perché abbandonati. Ma sono soli in tanti, laddove i cittadini sono soli in uno. Ma non basta ancora per restare. E si rimane abbandonati anche da quelli che prima quel senso di abbandono lo condividevano. Continua l’emorragia dei giovani. E la comunità provvisoria diventa quella che invece studiosi riconosciuti come i demografi definiscono “Comune polvere”. Si muore, non si nasce. Si parte. Per l’università, per lavoro. E Pescasseroli scompare anche come meta di un ritorno. Allora cos’è che ti butta fuori dalle montagne? Cosa non soddisfa e cosa respinge? Una risposta generale: Pescasseroli forse non può produrre felicità. Poi ognuno sa quale sia la sua idea di felicità: economica, culturale, spirituale. Amare un paese è anche una religione: devi crederci, credere nel suo potenziale per amarlo. Ma credere è sempre una sfida. L’amore non si può infondere e credere non si può imporre. Ecco allora il rischio: credere in chi ci crede ancora. Sempre da questo passo sono iniziate le guerre partigiane. Ma queste sono le buzzurre ideologie per cui i giovani più che mai hanno la ripulsa. Bisogna riflettere prima di celebrare l’ultimo funerale, quello ad un luogo che rispetto a Roma o Londra ha solo una diversa bellezza. Basta guardare bene per coglierla, non è troppo nascosta, perché la bellezza,  quando c’è,  è sempre sterminata. E  non deve essere come Roma o Londra, perché deve essere l’alternativa ad un altrove in cui uno si sente già provvisorio. Cosa deve diventare questo paese? Domanda che al di sotto presuppone quella: quale identità vuole avere? Identità culturale ed economica. Quello è il solco che politica e cittadini devono percorrere. Innamorarsi è più difficile. Credere in una opportunità aiuta a restare.

FEDERICA TUDINI

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