Intervista a Giuseppe Festa, a Pescasseroli domenica 17 luglio con il suo “La Luna è dei lupi”
|Sotto l’alone di una instabilità diffusa e destabilizzante. In un mondo diviso tra la parte in cemento e la parte verde, il confine è l’unico meccanismo difensivo. Zone franche, territori marcati, branchi come dinastie, gerarchie, producono però tanti stranieri. Ed ha a che fare con le legge delle migrazioni pure l’odissea dei lupi del Monte Sibilla: la rigidità del limite, in un modo o nell’altro, mette in fuga. Per Rio e per Lama ci sarà il ritorno finale, ultima redenzione. Sotto “La Luna è dei lupi” corre una petizione di riscatto: di Rio, leader inadeguato, di Greta, stretta nella tenaglia della paura e della colpa, di Scuro che ha un conto da saldare. Tutti senza troppa fiducia nella possibilità di ricollocarsi. Per questo si dirigono sul percorso breve dell’atto eclatante. Solo l’affiancamento di altri rende tollerabile il conflitto interiore. La relazione intima diventa la traiettoria di una storia collettiva.
Ma “La Luna è dei Lupi” è anche un “Giallo”: non per la scena thrilling della caccia all’omicida del contadino, ma per la pervasività delle “Tracce”, non di un passato estinto, ma di una presenza incombente, di altri animali, di uomini, di pericoli.
Il conforto, più che dal lieto fine, è trovare ragione in una legge cosmica: la luna non è solo dei lupi.
Ho rivolto alcune domande all’autore del libro, Giuseppe Festa prima del suo intervento a Pescasseroli domenica 17 luglio.
Il titolo. Non c’è una contraddizione tra il titolo “La Luna è dei lupi” e la frase di chiusura dove si prefigura una riunione sotto un’unica “Religione”, simboleggiata dalla Luna, di lupi e uomini?
Il titolo racchiude il pensiero di Rio fino ad un certo punto: all’inizio Rio ha dei pregiudizi verso l’uomo. Dopo una serie di esperienze rivede questi suoi pregiudizi. L’atto salvatore di Greta, il guardiaparco che accetta di uccidere un cane per salvare lui che invece è un lupo minaccioso, il sacrificio di Scuro (che è un mezzo cane e quindi vicino all’uomo) lo convincono che lupo e uomo possono identificarsi e che alla fine è possibile anche una convivenza.
I lupi sono maschere di tipi umani?
Io ho scelto di umanizzare i lupi. L’intenzione è stata quella di creare un rapporto empatico con il lettore e anche per strutturare al fondo il libro come un gioco di specchi in modo che il risultato finale nell’intreccio di prospettive non cambiasse. E il risultato finale doveva essere che una parte e l’altra ripensassero la convinzione di essere superiori ai diversi. E quindi ci fosse un ribaltamento necessario alla convivenza.
Nel libro c’è un’attenzione per i confini a determinare i rapporti: tra i branchi, tra i diversi animali, tra animali e uomo. E il contatto lupo-uomo sembra sia fatto di incursioni e incontri fugaci…
L’abbandono dei Monti Sibillini porta il branco di Rio a confrontarsi con un territorio molto antropizzato. La loro difficoltà nasce anche dal contatto con confini diversi da quelli solo fisici a cui sono abituati. Loro hanno confini diversi e li elaborano secondo altri criteri. L’allargamento del confine per loro è proporzionale alle esigenze di vita. La consistenza del branco determina un certo allargamento del territorio che si scelgono per cacciare, come mi ha confermato un guardiaparco del Parco Nazionale d’Abruzzo. Per l’uomo i confini sono più arbitrari, esorbitanti rispetto alle sue reali esigenze e, per questo, spesso inutili. Uomo e lupo si incontrano spesso sui confini. E questo risponde alla realtà. Si avverte sempre molto stupore da parte di persone che vengono a sapere che i lupi sono arrivati nelle vicinanze dei loro pollai o addirittura delle loro case. Nel libro una situazione del genere è riprodotta dalla scena del posizionamento dei lupi a ridosso di un parco-giochi. È una paura che risponde all’immaginazione e a delle paure ancestrali che hanno condizionato la nostra immagine del lupo come animale cattivo e pericoloso.
Un Parco serve a rimettere i confini?
Il Parco serve a eliminare i confini. Nel Parco Nazionale d’Abruzzo noto una diversa percezione del lupo, grazie ad un maggiore contatto, anche più pacifico, rispetto ad altre popolazioni che, pur inserite in un territorio protetto, non vi sono abituate. A Pescasseroli non devo convincere nessuno che il lupo non è cattivo. Forse qui c’entra il Parco che deve educare al contatto e quindi ad abbattere i confini.
Cosa vuol dire “i lupi sono animali culturali”?
Si tratta di un’espressione usata dai ricercatori. Vale anche per l’orso. Il lupo usa “trasmettere” le sue conoscenze attraverso l’insegnamento all’interno del branco, come l’orso fa con la madre. Queste conoscenze “imparate” affiancano la parte istintiva, che per esempio è molto più marcata nei cervi. Si trasmettono soprattutto conoscenze su strategie per sopravvivere. Si possono osservare particolari abitudini, che sono state apprese appunto, negli episodi di caccia, come l’uso di trappole naturali. La parte istintiva è basata tutta sulla paura dell’uomo.
C’è qualcosa di te nel ricercatore Lorenzo?
Non so. Quando crei un personaggio dentro scivola qualcosa di te stesso ma non è un’operazione consapevole. Come Lorenzo amo il mio lavoro, lo faccio con scrupolo e ordine. Come Lorenzo forse sono altrettanto meno scrupolo in altre cose.
A volte ci sono da parte delle persone delle manifestazioni d’affetto nei confronti degli animali esorbitanti. Sembra che si amino più gli animali che gli uomini: come lo spieghi?
In una trasmissione alla radio facevano la stessa osservazione: se lancio una richiesta d’aiuto per un uomo avrei 10 manifestazioni di interesse contro 1000 che ne otterrei per un animale. È un fenomeno facilmente osservabile. C’è un moto di affetto nei confronti degli animali che in proporzione stupisce. Io credo che questo non derivi da un’avversione o una delusione per l’uomo da parte di alcune persone, ma da un bisogno di riparare all’allontanamento dalla natura dovuto alla civilizzazione. C’è voglia di ricostruire quel legame atavico che appartiene alle nostre origini. La forte empatia con gli animali serve a colmare questo salto. Non c’è un rifiuto dell’uomo, ma una voglia di recupero.
GRAZIE GIUSEPPE FESTA
FEDERICA TUDINI