Perdona se ho contrattato con la penna le parole da dire. Perdona se da questa transazione possano scaturire reticenze o forse arroganza. In un senso o nell’altro le parole sono inafferrabili nella loro inoppugnabilità e inoppugnabili nella loro inafferrabilità. Ma lasciarle andare e liquidarle è un’esigenza biologica.
Torno. Non sento. Non mi accorgo. C’è solo un’atmosfera casalinga che detona sotto le nostre autobiografie, in fondo riconducibili alla stessa, allo stesso culto maniacale (paranoide, perché speri sempre qualcosa possa cambiare!) di continuare ad abitare qui, ai piedi dell’ “Edificio”. Questo caos calmo è tutto un panico interiore, o superiore, che sfibra la capacità di calcolare quanto vale restare, perché qui si vive non di speranza, non di illusioni. Si vive di allucinazioni. Pensa solo al rituale della preghiera della neve, “originata dalle insicurezze esattamente come le credenze che intende sopprimere”, la preghiera che tutto tintinnerà come denaro. E se non nevica? “La minaccia di un pericolo alla lunga può risultare meno dannosa della superficiale euforia causata dalla sua apparente cessazione. Se vive nel timore vivrà meglio, o forse vivrà peggio, ma assomiglia di più a sé stessa”. Eppure Pescasseroli (non taccio più il suo nome) riesce ancora a sopravvivere:” Sotto stress le sue capacità di resistenza si rivelano davvero smaglianti”. Questa sopravvivenza ormai è stile e ogni passione che all’improvviso si infiamma, è questione di estetica. Anche se poi covano residui di etica, la quale non viene meno e “si fa meravigliosamente (irragionevolmente-mio) irragionevole nei momenti neri “ e nella casa affianco, come nella mia, come nella nostra, “si apparecchia per due con doppie posate e doppi bicchieri, anche quando non c’è niente (più niente-mio) nel piatto”. La sintesi del nostro turismo: ”La fame (quella pescasserolese-mia) ma non quella plebea, melodrammatica e accorata, è uno spettacolo ammirevole, sterile, stridente. Non disperarsi nemmeno quando si muore”. Mio e dell’autore: “fingere, fingere ostinatamente, sempre fingere”…
NOTA: Le affermazioni riportate in virgolette sono direttamente estrapolate dal libro “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati dove sono riferite (naturalmente!) a tutt’altro contesto e tutt’altro soggetto. Ma mi sembrava che rimodulandole un po’ potessero calzare anche al paesello.
FEDERICA TUDINI
Colloquio con un libro
Perdona se ho contrattato con la penna le parole da dire. Perdona se da questa transazione possano scaturire reticenze o forse arroganza. In un senso o nell’altro le parole sono inafferrabili nella loro inoppugnabilità e inoppugnabili nella loro inafferrabilità. Ma lasciarle andare e liquidarle è un’esigenza biologica.
Torno. Non sento. Non mi accorgo. C’è solo un’atmosfera casalinga che detona sotto le nostre autobiografie, in fondo riconducibili alla stessa, allo stesso culto maniacale (paranoide, perché speri sempre qualcosa possa cambiare!) di continuare ad abitare qui, ai piedi dell’ “Edificio”. Questo caos calmo è tutto un panico interiore, o superiore, che sfibra la capacità di calcolare quanto vale restare, perché qui si vive non di speranza, non di illusioni. Si vive di allucinazioni. Pensa solo al rituale della preghiera della neve, “originata dalle insicurezze esattamente come le credenze che intende sopprimere”, la preghiera che tutto tintinnerà come denaro. E se non nevica? “La minaccia di un pericolo alla lunga può risultare meno dannosa della superficiale euforia causata dalla sua apparente cessazione. Se vive nel timore vivrà meglio, o forse vivrà peggio, ma assomiglia di più a sé stessa”. Eppure Pescasseroli (non taccio più il suo nome) riesce ancora a sopravvivere:” Sotto stress le sue capacità di resistenza si rivelano davvero smaglianti”. Questa sopravvivenza ormai è stile e ogni passione che all’improvviso si infiamma, è questione di estetica. Anche se poi covano residui di etica, la quale non viene meno e “si fa meravigliosamente (irragionevolmente-mio) irragionevole nei momenti neri “ e nella casa affianco, come nella mia, come nella nostra, “si apparecchia per due con doppie posate e doppi bicchieri, anche quando non c’è niente (più niente-mio) nel piatto”. La sintesi del nostro turismo: ”La fame (quella pescasserolese-mia) ma non quella plebea, melodrammatica e accorata, è uno spettacolo ammirevole, sterile, stridente. Non disperarsi nemmeno quando si muore”. Mio e dell’autore: “fingere, fingere ostinatamente, sempre fingere”…
NOTA: Le affermazioni riportate in virgolette sono direttamente estrapolate dal libro “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati dove sono riferite (naturalmente!) a tutt’altro contesto e tutt’altro soggetto. Ma mi sembrava che rimodulandole un po’ potessero calzare anche al paesello.
FEDERICA TUDINI
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