1° appuntamento con l’estate di Pescasseroliew. Incontro con Alexandra Dejoli, transgender nella Jugoslavia in guerra
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La storia che Alexandra Dejoli racconta nel suo “Requiem Rosa” sembra la storia di un’altra e non la sua. Attraverso il suo vissuto è diventata scrittrice di una realtà, quella della Grande Slava, della Jugoslavia degli anni ’90 che dopo Tito prova ad arrangiarsi a resistere. Ma per lei non ci sarà nessuna maturazione, solo lo smembramento. Diventa una transgender che si abbatte che si lascia aspirare in una spirale involutiva, invece di fare il salto, l’arrischiata e reimpostarsi con un’altra identità. Sull’intreccio di questo segmento della Grande Storia, miniaturizzato nella vita della seconda protagonista, si concentra tutta la forza di gravità della narrazione, con la Grande Slava soggetta quasi ad un’analisi di psicopolitica. La guerra la fa ritrovare esausta per agire la sua trans-formazione e lo smembramento ne sarà la declinazione inevitabile. La sorella minore attraversa questo processo di autodistruzione quasi come fosse una scorribanda, quasi a conservare uno stato di caos calmo mentre le si rivela la sua seconda identità. Difficile assorbire le repulsioni della società che ti rifiuta anche un rifugio mentre esplodono le bombe. Quella, la società, avrebbe bisogno di chirurgia prima che ti riduca all’indigenza psicologica. Eppure Alexandra, ma anche Nina e Ivan, non rinunciano mai al graffio dell’ironia. Rifanno il verso a chi vorrebbe condannarli. Il libro lo si potrebbe scomporre come una satira in versi, tante sono le battute e le frasi chiocce. La nota costante è quella di un riso corrosivo da commedia greca, perché la commedia a volte sa essere più truce della tragedia. La proposta è quella di superare “la tirannia del 2” che porta ad interpretare il mondo attraverso il 2, il numero per eccellenza dell’opposizione, e i suoi multipli e sottomultipli: metà, doppio, polare e complementare. È vero, che ci siano 2 è la condizione della scelta. Ma ammettere uno spazio mediano è la condizione dell’alternativa. Quello è lo spazio della libertà.
Ecco cosa ho chiesto ad Alexandra.
La trans-formazione sessuale implica un cambiamento di identità? È una scelta distruttiva?
Le due cose , la trasformazione corporea e l’identità , subiscono una stretta interazione . Definire con certezza scientifica la loro correlazioni spetta ai professionisti del campo psicologico . Ovviamente, se la percezione del nostro corpo è quella che ci dà una certa identità ,allora è la nostra identità che determina la transizione e non il contrario. Lo scopo finale sarebbe l’armonia stabilita fra le due cose – fra la nostra (nuova) realtà biologica e la nostra identità .Da questa pacificazione ne dovrebbe derivare anche il senso della “realizzazione” con la conseguente serenità .Ed è una scelta anche distruttiva . Quando dico distruttiva, non penso solo alle note demolizioni fisiche e corporee , ma anche al fatto che alla demolizione di un genere corrisponde anche la demolizione della precedente lettura che quel genere aveva nella società e la demolizione dei precedenti ruoli che ne derivavano da tale lettura. Anche se le tappe di transizione siano graduali ed evolvono attraverso un periodo significante, si esce comunque rivoluzionati .
La sua storia mi ha fatto venire in mente quella delle identità post-coloniali che hanno coniato lo status di “ibrido”. Dopo una trasformazione sessuale come si ricompone l’io?
La transessualità non deve essere considerata come una leggera, cosmetica o viziosa passeggiata fra i generi .E’ un fenomeno delicato da tanti punti di vista. Basta pensare per esempio solo allo sconvolgimento endocrinologico che ne segue e ben altro. Purtroppo e per meraviglia, spesso il più pesante e pressante di tutto è lo sconvolgimento sociale . In una società che conosce , riconosce e si fonda da sempre su un netto binarismo “maschile e femminile” , al fenomeno della transessualità viene negata la completezza, proprio perché viene considerato come qualcosa in mezzo ai binari prestabiliti . In una tale società la persona trans viene vista e definita sempre per negazione e mai per affermazione .La/il trans viene visto/a come “né uomo -né donna “, mai come “sia un uomo che una donna “. Più di una volta mi è personalmente capitato di essere definita come “né carne né pesce”! Ero niente! Subire quotidianamente gli effetti di questa “interpretazione ” di transessualità , vuol dire vivere un’esistenza totalmente declassata , subire una costante , discriminatoria svalutazione , una pesante riduzione , forte emarginazione …Dunque ,se si esce a pezzi ,(o non si esce proprio ) non è tanto per la transizione in sé ,ma per la pressione sociale che si esercita su essa, cioè su di noi -transessuali . In questo senso non ci si ricompone completamente mai più.
Nel suo libro “Requiem in rosa” sono rappresentate le scenografie che tra-vestono l’apoteosi del Padre-Viola. Nella festa c’è in generale un travestimento di tutti?
“Requiem Rosa” racconta una parallela anche se intrecciata: la delirante transizione della “Grande Slava” (la Jugoslavia verso varie Serbie,Croazie ,Bosnie…) e della” Piccola Slava” (la persona trans, da uomo a donna). Sono due transizioni diverse, ma molto più simili (a volte identiche nei metodi) di quello che si possa pensare inizialmente. La Jugoslavia nel mio romanzo viene vista come una vera e propria transgender- e secondo me lo è stata davvero .La Jugoslavia si trova ingarbugliata in una crisi violenta d’identità e decide di buttarsi in un catastrofico cambio di genere. Da un genere (comunista e dunque transazionale) la Jugoslavia transita verso un altro genere opposto (ultra-nazionalista) cambiando le forme e il nome . Se questo non è esempio di trans-genderismo, non lo so cosa è allora ! Scrivendo un romanzo, volevo e dovevo mantenere una costante dimensione impressionistica della narrazione. In questo senso va vista anche la mia trasportazione letteraria nel raccontare anche la festa del Padre-Viola . La gigante, mastodontica festa del compleanno del maresciallo Tito, realmente esisteva, si svolgeva nel grande stadio di calcio di Belgrado, ed io ero più volte presente alla stessa come il pioniere partecipante. Il comunismo, o meglio titoismo (inteso come socialismo jugoslavo), aveva una sua iconografia ben prestabilita e ben controllata. Tutti vestiti e travestiti con cura ! Del resto ogni regime ha una sua estetica (pensiamo all’ architettura), un suo travestimento che controlla ossessivamente. Noi eravamo travestiti in una grigia armata di proletariato in rivoluzione, in perenne ricerca di elementi borghesi e controrivoluzionari da estirpare . Come ogni travestimento anche il nostro seguiva una determinata estetica – il muscoloso maschio compagno e la asessuata compagna partigiana. Per l’altro non c’era posto -anzi l’altro non esisteva neanche.
In quel clima dove c’era una focalizzazione sulla politica e in cui si instaura un contesto di “omologazione” per via della dittatura era più facile vivere il transito?
Una volta Leonardo Sciascia scrisse che quando Dio ti vuole fregare ti fa nascere in Sicilia. Io dico al grande scrittore che se Dio ti vuole fregare ti fa nascere nella Jugoslavia di fine secolo, e di più in un corpo che non senti tuo! Nessun dittatore e nessuna omologazione possono favorire o facilitare una libera transizione di genere! Dove viene soffocato il diritto alla libera espressione non può svilupparsi neanche la libera sessualità. Non solo le persone trans ,ma l’intera popolazione LGBT in quel periodo storico dei Balcani era messa nell’ illegalità. Nonostante questo fatto, posso notare che i criteri della nostra esclusione nella ex Jugoslavia variavano. Nel periodo del socialismo titino “i diversi” erano visti come qualcosa di sostanzialmente estranei al comunismo. Essere gay o trans era considerato essere un prodotto anticomunista-borghese, aristocratico, capitalista , in contrasto con il proletario. Essere “diversi” dunque significava essere sovversivi al sistema politico ,essere antirivoluzionari. Dunque esserlo era punibile e pericolosissimo! Come la Jugoslavia dal paese pro comunista si trasformò in un paese ultra-nazionalista, così nella Serbia ,Croazia … Lgbt persone non erano ovviamente più considerate degli antirivoluzionari , ma come un qualcosa di estraneo alla nazione . Il fenomeno era considerato come qualcosa di deviante “all’ occidentale”, una americanata da estirpare con la forza. Quando il vostro paese entra in una guerra aperta con l’Occidente e voi siete considerati un elemento pro occidentale, non c’era da scherzare. Dunque inavvicinabili tra di loro , il comunismo e l’ultra-nazionalismo, si conciliavano nell’ oppressione verso i loro “diversi”, pur diversificandosi nella teorizzazione di una tale oppressione . Solo perché una transessuale, ero vista prima come il freno alla rivoluzione ,per diventare, più tardi, una traditrice del nazionale, il prodotto dei nemici ! In un capitolo del libro ho descritto l’ episodio ,quando ,durante i bombardamenti della Nato su Belgrado a me , ritenuta una “diversa” ,veniva ostacolata l’entrata nei rifugi ,in quanto considerata “roba loro”. Va detto anche, una volta arrivata all’occidente, non scappai tuttavia dall’etichettate. Da una ex controrivoluzionaria ed una ex nemica della nazione, diventai una peccatrice , moralmente discutibile, qualcosa al di fuori dalla strada giusta, quella della “salvezza”. Se non proprio da curare ,senz’altro da correggere …
La dritta verso la trans-formazione è arrivata da un cambiamento corporeo, lo spuntare del seno sinistro, se ho capito bene. Di solito per alcune ragazze questi cambiamenti sono traumatici. Per lei cosa ha significato?
Con il mio corpo ,in tutte le sue impreviste manifestazioni ,avevo un buon rapporto e nessuna esperienza traumatica mi veniva da quella direzione. Quelle arrivavano da una altra ragione. Io ero una trans molto prima che la parola “trans” fosse esistita e non solo nei Balcani , ma nella gran parte del mondo. Di conseguenza, porto come ricordo primario di quegli anni un grande senso di solitudine. Pensavo che fossi l’unica “trans” nel mondo, non sapendo neanche di essere una trans! Sapevo solo di essere visibilmente diversa da tutti e di provocare le reazioni forti e opposte , spesso scandalose . Avevo già un mondo contro ed ero solo poco più di un bambino! Mi osservavano con cautela, adocchiavano, deridevano, correggevano e corteggiavano…Ma neanche loro stessi ,”gli altri” , sapevano di che cosa si trattasse realmente. Potete immaginare cosa succede nella testa di un bambino che nel lasso di un’ora a scuola subisce insieme offese e ammirazioni, insulti e complimenti …La confusione, lo smarrimento completo! Se non potevo comprendere bene la mia condizione, capivo già da subito, molto prima degli altri bambini, di vivere in un mondo quanto crudele tanto falso . I veri travestiti, in realtà, erano i falsi perbenisti impauriti. Ero definita “frocio”, vista come un essere strano , perverso , matto …Se non mi trovavano il nome preciso, trovarono i modi per tenermi ai margini. Mi chiudevo sempre di più in me stessa, cercavo conferme altrove, ottenendo, per esempio, eccezionali risultati a scuola. Essere lo studente fuori serie, il migliore di tutti e il primo in tutto, mi isolò dal mondo dei coetanei ulteriormente, ma mi salvò dalla totale esclusione negativa dei compagni , che interpretarono e accettarono la mia diversità come una stranezza , una stravaganza di un piccolo genio che gli sarebbe svanita con il passare del tempo. La loro sbagliata valutazione che mi salvò la testa ! Sono sopravvissuto grazie a questo.
In riferimento alla situazione politica: un dittatore deve avere gli atteggiamenti del padre per imporsi? Deve essere come una divinità bacchica? Sembra che solo la dittatura possa assicurare la compattezza di un popolo…
Ha attraversato anche l’esperienza della prostituzione. È solo in questo ambito di relazioni instabili che si può venir accettati? A volte sembra quella di “trans” sia anche una definizione di mestiere, quello della prostituta…
Suppongo che Lei, rivolgendomi questa domanda, si riferisca al capitolo del libro dove ho descritto l’esperienza sul parcheggio dei camionisti. Nel romanzo si tratta di una contestualizzazione letteraria, non di esperienza personale -Che importa al lettore della mia intima esperienza?! Proprio perché volevo raccontare ” un’ esperienza transessuale” ho scelto di accennare al campo della prostituzione, perché è l’unico campo che le viene lasciato a disposizione . Se le signore “benpensanti “continuano a vedere in una trans alta, bionda e libera una prostituta, e non una storica con trent’anni di studi dietro di sé. Questo perché proiettano loro stesse in una simile situazione -se il caso gli avesse dato una simile prorompente, ambigua corporalità, quella che ufficialmente disprezzano ma che di nascosto invidiano – In tale caso loro, sicuramente, non si sarebbero date allo studio e alla ricerca negli archivi. Ogni centimetro della loro mancata corporalità, lo avrebbero tradotto in salvadanai e per questo non riescono a comprendere altri criteri, né altre scelte. Queste persone, che solo grottescamente scimmiottano un’ emancipazione, in realtà non conoscono nessuna soddisfazione se non quella che arriva dal cibo, dal sesso o del vestito …dal palpabile . Basta osservarli ! E il dio denaro l’unico dio in cui credono! Con la mente cosi appiattita, il mondo della prostituzione, il mondo remunerativo, gli risulta molto più vicino di quello etereo ,”impalpabile” mondo del sapere , del creativo. La mente del consumante, la mente consumata, non riesce a capire e concepire nient’altro che non sia il commercializzare. Ci tengo ad essere diversa da loro e a sottolineare questa diversità! D’altra parte va anche detto che non è per niente facile sfuggire alla prostituzione quando, da una parte, tutti vedono in te solo un corpo, anzi un corpo costruito per l’accoppiamento in serie e, dall’altra parte, loro stessi ti chiudono l’accesso al mercato del lavoro. Le transessuali oggi sono ancora rinchiuse in un vero apartheid verso il mercato del lavoro. Pochi fenomeni subiscono così drasticamente il riduzionismo concettuale come il transessualismo! La complessità dell’esistenza di una persona transessuale viene costantemente ridotta e sommata a solo una componente della sua esperienza –quella sessuale. Questo riduzionismo comporta terrificanti conseguenze e travolge l’esistenze di una intera categoria di persone. Siamo visti come le sessualità incarnate, spogliate da ogni altro contenuto. Se per la degna valutazione degli esseri umani ancora vale il vecchio detto cartesiano “cogito ergo sum”, per transessuali rimane il suo ridotto dispregiativo “coito ergo sum”. Essere ridotti solamente ad una realtà sessuata è la causa del fatto di avere come l’unico spazio dove lavorare proprio il campo sessuale. Proprio per questo motivo trovo pericoloso quel riduzionismo di cui parlavo sopra. Questo è la causa che due concetti diversi, la trans e la prostituta, una condizione e un mestiere,si confondono, si plasmano ,diventando sinonimi. Quante volte abbiamo sentito dire che una persona “fa la trans”!? Come bene sappiamo il linguaggio, il gergo per esempio, è un ottimo rivelatore sociale.Quello è solo una riflessione spontanea e veritiera di un pensiero comune. Ma chi crea davvero, chi fa mantenere un stereotipo cosi pericoloso? In quanto questo libro tratta anche la tematica trans, ha un senso aggiungere ,che l’autore sia anche(!) una transessuale, favorendone l’ulteriore credibilità sul argomento trattato . Ma per il resto, per esempio considerando altre mie opere, la persona che continua a definirmi solo(!) una transessuale, allora anche essa deve accettare lo stesso criterio nei confronti di se stessa, e dunque, di essere definita e vista solo come una presunta eterosessuale. Bisogna essere empatici per capire più in profondità -sentire sulla propria pelle cosa vuol dire essere appositamente ridotti al più basso, al più istintivo in noi, essere banalizzati ad una sola componente. Gli stessi criteri per tutti ! Né più né meno.
Grazie Alexandra!
FEDERICA TUDINI